Sono molte le situazioni di difficoltà che una mamma può incontrare, una volta tornata a casa dopo il parto. Ma queste emozioni in realtà hanno inizio molto prima.
Tra quelle che possono manifestarsi ed essere la realtà quotidiana di molte famiglie, sono gli aspetti legati alla sensazione di solitudine, del senso di inadeguatezza o quello di repulsione della nuova condizione di vita che ad un tratto è diventata realtà. Se fino a prima della nascita, tutto era più o meno fantasia, con l’arrivo del piccolo, si concretizza lo “stravolgimento”.
Fin dal tempo di attesa (gravidanza), arrivando ai primi momenti di vita del neonato, la donna vive in solitudine con i suoi cambiamenti e facendo i conti con un corpo che è in mutazione continua. Tutto ha inizio con le nausee, le quali possono essere più o meno “invalidanti”, e si va continuando con una pancia che cresce, un seno e una fisicità che cambiano e spesso direi non in meglio, e una tempesta ormonale che spesso si dimostra incontrollabile. Tutto questo, inevitabilmente, avviene solo sulla donna e altrettanto certo è che, anche se accanto a lei c’è un partner premuroso, non si scampa! È un passaggio obbligato, dove un turbinio di emozioni investono la donna, mettendola a dura prova su sentimenti contrastanti.
Come se non fosse abbastanza, la richiesta, che la società palesa alla donna, é quella di essere obbligatoriamente felice e serena per aver dato vita ad un figlio ed essere diventata madre. Una richiesta così “invasiva” che finisce per convincere che non è consentito provare emozioni negative (tristezza, ansia, smarrimento, confusione…). Ma la realtà ci mette di fronte ad un’altra verità, perché non tutte le donne sono necessariamente felici del cambiamento che si trovano a vivere e questo non implica affatto che non siano buone madri o persone emotivamente stabili.
Improvvisamente ci si può ritrovare sopraffatte dalla responsabilità di un ruolo che in verità forse non era stato cercato o forse solo non si era pronte abbastanza e come se non bastasse, la richiesta esterna e di essere spudoratamente entusiaste, evitando così di essere additate come egoiste, perché in verità il primo pensiero è che ci sentiamo private di una libertà che sembra non poter essere più raggiungibile.
Depressione post parto? Non necessariamente.
Ingratitudine o disamore? Basta con i cliché!
Il quadro sociale proposto, impone l’esaltazione e immedesimazione di un modello predefinito. Ma chi decide che proprio quel modello è quello giusto? Ma quale è la giusta misura da impiegare per tarare l’affetto che una madre ha nei confronti di suo figlio? Sinceramente non credo esista un’unità di misura spendibile in questo senso, perché a quel che mi risulta l’amore non è inquadrabile su di una scala matematica e quindi sostenibile come presente solo in circostanze dove vengano assunti atteggiamenti, oserei dire, macchinosi, dove l’espressione dell’affettività è imposta da una sola modalità, uguale per tutti, di espressione. Uscire da questo quadretto socialmente proposto, non può essere motivo di additamento come cattiva madre, rivolto a quelle donne che escono da questo schema. Nessuna donna, per questo diverso pensiero, agito, merita di essere giudicata.
La maternità è uno stravolgimento. Esistono donne che si ritrovano a fare i conti con sentimenti discostanti, seppur abbiano intensamente ricercato un figlio, può accadere che si sorprendano in contrasto con un pensiero che non si aspettavano di vivere. La conseguenza è, che difronte a emozioni di questo tipo, provano frustrazione e sensazione di auto tradimento.
La maternità per una donna è una scoperta, a volte non è automatico che venga vista come una nuova risorsa per la personale vita, richiede dunque, tempo.
Ogni donna deve avere l’opportunità di scoprirsi, conoscersi, comprendersi all’interno di questo ruolo. Diventare madre, implica spostare il proprio sé da una posizione di centralità abitudinaria per natura, per lasciare quindi spazio ad una vita nuova. Implica fare un grande passo verso il fuori da se stessi, rinunciando a tante cose e prendendo però contemporaneamente consapevolezza che questa nuova condizione, attraverso l’altro, può offrire nuove opportunità per costruire una centralità personale tutta nuova.
Dott.ssa Olga Piemontese