I percorsi di aiuto alla persona sono caratterizzati da una richiesta che vede il professionista impegnato in abilità comunicative atte a stimolare la riflessione e la capacità di riformulazione, al fine di restituire all’altro un messaggio.
La comunicazione, che da sempre è parte del patrimonio del mondo, oggi è spesso oggetto di analisi e occupa un ruolo centrale nell’interesse dell’essere umano. Lo scambio interpersonale fonda le sue radici sui principi di questo scambio che ingaggia i canali del linguaggio verbale, ma anche degli altri canali semiotici che costituiscono lo scambio comunicativo. La comunicazione, a sua volta, agisce direttamente (e indirettamente), sulle relazioni, trasformandole in funzione dell’interazione che si manifesta.
Sulla base di tale premessa, anche per il Pedagogista Clinico® e il Mediatore Familiare, la comunicazione è lo scambio che fornisce l’opportunità ai genitori (ma anche a gruppi di educatori, insegnanti, coppie anche non genitoriali) o alle parti in lite di ri-valutarsi e convergere su discussioni che fuori da contesti professionali hanno dimostrato di non essere in grado di gestire in modo adeguato o anche semplicemente esporre affinché arrivasse all’interlocutore un messaggio chiaro e considerevole della visione di ognuno.
Essere genitori implica in prima istanza, la responsabilità su se stessi e una personale attenzione al proprio modo di occupare lo spazio, interagire, questo perché per i figli, i genitori, sono un modello da seguire e imitare. I bambini leggono il mondo sul volto dei genitori. Anche solo l’espressione per loro è stimolo e opportunità di lettura per veicolare emozioni e apprendere come muoversi nello spazio. Sulla base di tali riflessioni, si evidenzia come il compito del genitore sia arduo e assai complesso, impegnato continuamente nel dovere di trasmettere buoni modelli, orientando i propri figli attraverso azioni educate e quindi educanti.
Una buona capacità nella gestione della comunicazione e nell’autoregolazione davanti a difficoltà, conflitti e ostacoli, è un impegno al quale papà e mamma sono continuamente chiamati. Attraverso il loro atteggiamento vengono trasmesse opportunità di lettura che vanno poi a determinare la fiducia, l’autostima e le competenze di auto-regolazione che il bambino manifesterà come competenze personali.
Per il professionista in aiuto alla persona è necessaria una lunga formazione e un passaggio di incontro con sé per potersi dimostrare un valido supporto ed essere quindi in grado di supportare coloro che si dimostrano poco abili nella difficoltà. La formazione deve considerare uno spazio di apprendimento delle tecniche certamente, ma non da meno potrà essere considerato un tempo di incontro con la propria storia, i personali vissuti. Sarà così possibile elicitare opportunità sempre più ampie e alte. Viene richiesto un grande lavoro personale per poter entrare nella dimensione professionale, un “viaggio” di incontro con sé, che richiede pazienza e determinazione.
L’ascolto e l’empatia, la quale forse ha più precisamente ragion d’essere nella simpatia che offre occasioni per sentire con l’altro e non di immedesimazione, sono strumento indispensabile per il professionista in campo, ma ci sono situazione dove la risonanza può prendere più spazio del dovuto, finendo per diventare invalidante, inficiando quindi sul lavoro professionale e sulla relazione di aiuto. Ecco perché prima di aprire le porte del proprio studio, diventa di vitale importanza aprire le porte all’incontro con sé, nella disponibilità al riconoscimento e all’accoglienza delle personali caratteristiche che solo quando sono state incontrate permettono di averne conoscenza e opportunità di per saperle gestire. Conoscere i propri limiti, le proprie ferite, offre gli strumenti per non cadere nella rete delle impasse e sfruttarli, oltremodo, positivamente.
La persona nei nostri studi professionali compie un percorso dove notoriamente attiva un processo di Cura del Sé che la accompagna alla sua porta, strada che le permette di ri-trovarsi, garantito anche dalla relazione con l’altro. Ma tale viaggio è possibile dirsi reale anche per il professionista.
Spostar-si (spostare se stessi) chiarifica un’immagine, diventa un ossimoro: opportunità per guardare la propria dimensione da fuori. Non è forse vero che una buona fotografia la si ottiene con una buona messa a fuoco? Spesso ciò richiede un movi-mento del soggetto dal soggetto, affinché sia concesso di raccogliere quanti più elementi e dettagli possibili. Questa metafora rappresenta sostanzialmente l’opportunità che la persona si offre per vivere esperienze altre, in grado di vedere la realtà da altre prospettive, atte a generare cambia-menti. Nell’incontro con l’Altro ci è concessa questa occasione; attraverso il dialogo, la personificazione del proprio essere, del proprio pensiero, l’individuo fa un incontro e uno scambio anche (e aggiungerei soprattutto!) con se stesso.
Questi movimenti del soggetto in cerca di aiuto, ma anche dello specialista con sé e dell’uno con l’altro, offrono una comunicazione che è circolare, ma non solo: un flusso continuo che permette spostamenti con l’altro, ma contemporaneamente con se stessi.
La relazione di aiuto porta con sé un grande impegno, un duro lavoro. Viene richiesta grande attenzione, capacità a sopportare ciò che l’altro porta, senza trasmettere o offrire risposte non appropriate. Nei nostri studi professionali, insieme all’in-contro, arriva spesso tanto dolore che richiede capacità nel saperlo gestire, accogliere e anche accompagnare affinché quella persona possa trovare l’opportunità per imparare a elaborarlo e gestirlo.
Lo spazio di formazione più bello che ho sperimentato, è proprio l’incontro con l’altro: mi ha permesso nel tempo, e me lo concede ancora oggi, ogni volta che apro la porta del mio studio, attraverso l’impegno che riverso nell’aiuto all’altro, di aver cura di me.