- Introduzione
L’effetto Pigmalione, conosciuto anche come effetto Rosenthal, ha origini da studi classici sulla Profezia che si autorealizza, presentando un assunto che propone l’idea che gli insegnanti che trasmettono la loro convinzione su di un bambino come meno dotato, lo tratteranno, anche inconsciamente, in maniera differente dagli altri, fino a far interiorizzare a quel bambino tale giudizio spingendolo a comportarsi di conseguenza. Ecco che si genera un circolo vizioso per cui il bambino arriverà nel tempo a tras-formarsi come l’insegnante lo aveva immaginato.
L’identità del soggetto pone le sue basi sull’interazione. Così i genitori, gli insegnanti o gli educatori, rivestono un ruolo fondamentale, tanto da essere vicariante alle carenze o alle eventuali disfunzioni genitoriali o sociali.
La relazione educativa non può essere tralasciata se si vuole comprendere l’educazione e la formazione umana all’interno dei legami familiari, degli spazi e ambienti di apprendimento, nello scambio con il digitale e nelle dimensioni professionali.
“La relazione educativa sta al centro dei processi formativi come pure della teorizzazione pedagogica”[1],
ma è asse portante anche del pensiero filosofico del Novecento, con il quale si è andato determinando lo sviluppo della psicanalisi.
La relazione offre la base per gli apprendimenti, i quali poi diventano saperi del soggetto; ecco che l’insegnante, l’educatore, così come il genitore, devono essere
“[…]capaci di buone relazioni”[2].
È attraverso queste che il soggetto va formandosi, modellandosi.
Il bambino si riflette nella relazione con l’altro da sé, attraverso cui impara a conoscersi e identificarsi, fino a darsi forma.
Nella riflessione datata 1923, M. Buber, nel suo saggio Io e tu[3], ci permette di osservare come la relazione non sia soltanto un modo di essere, ma anche una struttura originaria che permette un senso all’essere umano. È attraverso la relazione che si modella l’uomo singolo, ma al contempo prendono forma i soggetti partecipi nello scambio.
Ciò si materializza con la comunicazione, che rappresenta il vettore della relazione, la quale non potrebbe esistere senza questo flusso.
La relazione modella i partecipanti allo scambio e diventa così portatrice di educazione, occasione di apprendimenti.
La relazione non tralascia mai l’educazione e la formazione, perché è un agire intrinseco allo scambio e nel quale a sua volta non può prescindere dalla comunicazione che, essa stessa, dipende dalla relazione. Un circolo che avvalora e significa la persona che si forma e trasforma attraverso l’intersoggettività.
Partendo dallo studio primordiale del legame interpersonale, ovvero con il caregiver[4], ci si muove poi attraverso l’analisi delle relazioni familiari e la costruzione dell’identità dell’individuo, che cammina dall’adolescenza fino all’età adulta, all’interno di un paradigma formativo e auto-formativo che prevede una cura da parte del soggetto, per se stesso, ma che contemporaneamente va costituendo il senso di cittadinanza e di appartenenza alla comunità.
La relazione crea il sé della persona, definendola come individuo, ma la cura lo accompagna per tutta la sua esistenza.
L’origine della vita, generalmente, parte dalla famiglia, luogo dal quale ogni soggetto prende i primi passi per percorrere la propria vita e in questo vengono a definirsi sicurezze o meno, felicità e tristezze, coraggio e meschinità, contraddistinguendo un soggetto da un altro, attraverso la genetica, ma anche attraverso l’apprendimento culturale.
La formazione dell’individuo ha il compito di trasportare la cultura, dove il comunicare è fondamento della vita per l’evoluzione formativa che perdura per tutta la vita. In questo, anche la vita familiare è una continua comunicazione di sé a se stesso e di sé all’altro, dove, pur apparendo banale, è assai fondamentale comprendere le leggi della comunicazione familiare.
Vivere le relazioni familiari implica comunicare e in questo, ciò che viene “scambiato” sono i legami affettivi ed emotivi che sottendono alle relazioni, rivelando modalità comunicative.
Ciò dona al bambino la chiave per accedere al proprio pensiero, ma anche all’idea del comportamento, del come ci si rapporta e del come si è.
Ecco, forse, che il primo passaggio ci richiama all’attenzione di considerare, nell’adultità, la possibilità di esplorare le proprie esperienze infantili per giungere alla scissione della propria infanzia con il fine di cogliere sfumature necessarie a comprendere le fondamenta del nostro essere e saper così costituire delle buone riflessioni per l’essere genitori o educatori, in grado di offrire occasioni di auto-espressione, auto-affermazione continua nel paradigma del ruolo educativo, il quale siamo chiamati a promuovere con chi viene dopo di noi.
La famiglia ha un ruolo fondamentale ed è dal suo operato che dipende l’intera salute della società, in quanto forma primaria del rapporto tra sessi e generazioni. Inoltre sottende il primo terreno nel quale si attiva lo scambio con l’altro e la rappresentazione del mondo esterno.
Pare sempre più ovvio dunque, come l’indagine della relazione ci offra l’opportunità di conoscere la natura dei legami e del senso che spinge all’azione.
“il successo della famiglia […] contribuisce in non scarsa misura il generale processo formativo. E in esso naturalmente un ruolo particolarmente importante, anzi prioritario, spetta alla scuola.
[…] il felice realizzarsi della famiglia passa in grande misura anche attraverso una scuola che riesce a promuovere personalità caratterizzate da uno stile di vita, da un metodo di indagine democratici, da uno “spirito scientifico” che guidi ad un esame intelligente e non per stereotipi e pregiudizi dei problemi che via via insorgono, e insieme si caratterizzi in affettività per il suo spirito simpatetico per la realtà degli altri.”[5]
La pedagogia deve prendersi cura della famiglia, la quale dovrà considerarsi partecipe di un equilibrio e di uno scambio continuo, dove fiducia nell’altro, azioni di cooperazione e mediazione, annessi alla consapevolezza che esistono le difficoltà e che queste fanno parte del gioco, sono i pilastri che la costituiscono.
La necessità dunque di coniugare affetto con interpretazione obiettiva e ragionevole; come suggeriva B. Bettelheim, parlando del rapporto familiare come co-educativo, si viene a considerare lo scambio come un arricchimento della personalità degli attori, contribuendo così allo sviluppo e alla crescita di ogni individuo.
Non è possibile dunque esulare la relazione dal rapporto comunicativo e in questo, elementi da considerare sono anche le modalità che la società utilizza per costruire ambienti per entrare in contatto[6].
In questo cammino la responsabilità permane ancora nei genitori, nella famiglia e nella scuola. Istituzioni che hanno l’arduo compito di mediare e riconoscere sempre l’altro, alimentando l’identità del soggetto che si sta formando.
L’accoglienza, l’ascolto, il riconoscimento dell’identità, la promozione di cultura e la valorizzazione del rispetto e della libertà altrui, condite con autorevolezza e dialogo, sono gli ingredienti che permettono la costruzione di un codice deontologico che dovrebbe rappresentare il corpo docenti. Il dovere primario dell’educatore, è quello di sostenere i discenti nella progettazione della loro esistenza, valorizzandoli.
La cura allora è intesa come opportunità che l’essere umano si offre per darsi forma, ovvero l’occasione che la persona si permette a se stessa per formarsi, ma anche per rendersi sé in funzione di sé con l’altro.
La cura è attenzione al rapporto interpersonale, partendo dal legame di attaccamento, fino ad arrivare al rapporto intersoggettivo che si crea anche tra educatore e discente. La cura si insidia in ogni livello della formazione umana in quanto garantisce la riuscita stessa della formazione.
Un buon lavoro pedagogico comprende una riflessione ampia all’interno delle scienze dell’educazione nelle quali dovranno essere considerate la relazione, la formazione del soggetto, le prospettive della cura di sé e della relazione empatica che comprende anche la riflessione sul pensiero e sull’azione. Una buona comunicazione, una comunicazione autentica, implica pensare per due, dove il soggetto percepisce il proprio agito, per sé, ma anche per l’altro e per sé con l’altro nel mondo. Ecco che si costituisce una società, basata sulla cura educativa.
- Ma cosa significa Apprendere?
Nei contesti scolastici, i processi di apprendimento, non sono inscindibili dalle relazioni interpersonali. L’agito stesso dell’insegnare, è sostenuto dal rapporto che si crea tra le persone che partecipano a tale processo.
La relazione interpersonale, fra il sé e l’altro, è sempre anche una relazione intrapersonale, fra il sé e il se medesimo. Esiste un rapporto circolare, sostenuto dalla relazione intra e interpersonale che permette di comprendere come la dimensione della relazione indirizzi, orienti, modelli ogni rapporto docente-allievo. Se tale rapporto è sostenuto da una intenzionalità formativa, da uno scambio reciproco e biunivoco, la relazione si trasforma in un legame educativo espresso attraverso i molti linguaggi della comunicazione verbale, non verbale, emotiva, affettiva, corporea[7].
La ricerca, la scienza, si pone una domanda che può apparire scontata, ma che in verità non lo è. Ci si domanda come si possano creare le migliori condizioni affinché si ottenga il miglior insegnamento e il miglior apprendimento, consapevoli che tra il dire e il fare ci sia sempre un passaggio che deve tenere di conto di molteplici aspetti, i quali riguardano soprattutto la variabile naturale dell’essere umano.
Pare sempre più evidente che per ottenere elevati risultati, nel rispetto dell’altro, non possa per nessuna ragione venire meno la cura della personale attività, del proprio lavoro, della propria professionalità. La cura di sé, per arrivare alla cura delle competenze, delle capacità e delle conoscenze, è lo strumento per arrivare alla buona relazione educativa.
Il primo soggetto che si avvale di un nuovo apprendimento è dunque l’insegante, l’educatore, il quale è chiamato a fare una nuova formazione, ad imparare da se stesso per se stesso a sentir-si. Intraprendere un percorso di ascolto di sé, un viaggio nella sua memoria, con l’intento di ripercorrere momenti belli e meno belli, per rivivere emozioni, sensazioni, che saranno poi il suo bagaglio per entrare in relazione con l’altro, con il discente.
Apprendere dalla personale esperienza, farne una solida ricerca, porne le basi per una metodologia scientifica, affidarsi alle emozioni, all’empatia, sono gli strumenti dell’insegnante, dell’educatore, ma oserei dire anche di chiunque si accinga ad intessere momenti di relazione educativa. E per saper maneggiare tale strumentazione, è assai importante aver fatto un percorso di cura di sé.
Quando si sente la parola “apprendere” immediatamente la società è portata a pensare ad aule, insegnanti, programmi strutturati e didattica. Ma la verità è che questo termine ha un significato più profondo. Esplorare e dare un senso alle cose che porta poi alla capacità di saper fare molteplici attività nel mondo.
Il problema principale dell’associare l’apprendimento alla scuola, è che si comincia a pensare che l’apprendimento avvenga solo quando qualcuno ci sta insegnando qualcosa. Ma noi cominciamo a imparare molto prima di andare a scuola, e certamente non smettiamo di imparare nel momento in cui lasciamo l’edificio scolastico.
Perciò, apprendere, non è un procedimento fine a se stesso, ma è l’insieme di differenti azioni e spesso nasce da un incontro.
In questo scritto, prendiamo particolarmente a cuore l’importanza di questo scambio perché viene ritenuto fondamentale, base portante dello sviluppo dell’essere umano, della relazione con se stessi, interpersonale e quindi della società.
- L’auto-osservazione: il primo passo verso la cura
Da sempre nutro un delicatissimo e radicato interesse per la cura della relazione educativa e attraverso la mia professione, ho spesso occasione di mettere in pratica un lavoro che difficilmente riesco a scindere dal mio modo di essere.
Cerco costantemente di prestare attenzione alle parole da non dire, ai movimenti da non fare quando sono davanti a qualcuno che mi sta “aprendo” la sua persona, si tratti di un adulto o di un bambino.
Ho imparato negli anni che l’aspetto più delicato di un “incontro” educativo è dove si apre la comunicazione, lo scambio e nasce la relazione. Il momento dove l’altro che parla sta permettendo molteplici attività.
In quel susseguirsi di parole e non verbale, in quel flusso più o meno costante, la persona ci sta dando qualcosa di sé, ma sta anche dandosi a se stessa l’opportunità di auto-definirsi, auto-ascoltarsi, auto-formarsi. È necessario ricordarsi, soprattutto nelle relazioni di aiuto, che la persona che narra, non parla propriamente per fornire informazioni a chi ascolta, ma più propriamente, si attiva una sorta di narrazione, dove il compito di chi partecipa è proprio quello di Ascoltare, aiutando l’altro a tirare fuori se stesso, senza necessariamente fornire consigli o pillole risolutive. Non c’è migliore cura dell’ascolto di sé.
Per un educatore pratico e riflessivo, che ha premura dell’altro, la relazione di cura ha l’obiettivo di favorire una vita degna di essere vissuta. Attraverso le sue competenze, che non si finiscono mai di acquisire, nella relazione, è possibile percepire con finezza i particolari fin nei loro minimi dettagli e saper leggere il reale, a partire da formulazioni generali con saggezza pratica, al di là di visioni ecologiche. Infatti, il benessere di chi dà cura è interrelato con quello di chi la riceve, in una dimensione relazionale e non privatistica: si può parlare di una concezione di auto-eco-realizzazione.
Il paradigma ecologico propone un educatore-ricercatore che mette in campo intelletto e sentimento e utilizza la sua pregressa esperienza soggettiva, per arrivare a una conoscenza più articolata che non si vuole più considerare come oggettiva ma, anzi, attenta al pensiero dell’altro[8].
La relazione educativa mi insegna ogni giorno a rivedermi e imparare che il mio posto è necessario ma comunque marginale. La mia posizione è quella di essere uno strumento, offro gli attrezzi del mestiere per accompagnare l’altro in un percorso di cura di sé, di amor proprio.
Una pratica di buona cura si rivolge alla vita della propria mente per conoscere se stessi, e all’altro perché si conosca in relazione alle varie situazioni; mira a concorrere alla promozione di una buona qualità della sua vita, in vista di metterlo in grado di essere soggetto delle sue decisioni e di provvedere da sé al proprio benessere.
- L’incontro: uno spazio di cura
Ho incontrato Sara (nome di fantasia) per la prima volta a novembre del 2016.
Il primo giorno che l’ho conosciuta, l’ho trovata una persona semplice, un po’ sulle sue, ma per nulla timida.
Madre di tre figli, sposata da 38 anni, terza di tre figlie femmine in una famiglia medio sociale, ma che nel suo paese nativo spiccava quasi come altolocata.
Una vita fatta di scelte degli altri, partendo da quelle del padre che l’hanno portata a rinunciare ai suoi sogni, alla formazione che ambiva e all’amore per l’insegnamento, “costringendola” a intraprendere studi e un lavoro che non le appartenevano.
Sposata ad un uomo troppo lontano dalla sua cultura, ma che come le muse di Ulisse, la incantò con le sue dolci origini greche, portandola silenziosamente a lasciare il lavoro che il padre le aveva garantito, per poi trasferirsi prima a Padova, poi a Firenze, seguendo poi per Zante, per tornare di nuovo a Firenze. Strade dove non che lei non avesse voce in capitolo, ma che l’avevano vista incapace di sapersi imporre, o anche soltanto forte di tenacia per poter esprimere il proprio pensiero.
Il mio obiettivo è stato fin dal principio uno soltanto: porre le basi per una relazione di cura, rivolta alla promozione della soggettività.
Sara si era portata con sé un bagaglio assai pesante, di una vita fatta di rinunce e sacrifici personali che per tutto il suo percorso l’avevano vista quasi come attrice non protagonista della sua vita.
Alzando il telefono, fissando un appuntamento con me e percorrendo la strada di questo percorso durato per molti mesi, Sara compì finalmente un primo passo per riconquistarsi un posto per sé.
L’intento è stato quello di accompagnarla nella narrazione di sé, evidenziandola nei punti di forza, nei progressi, nelle scelte, senza direzionarla, ma sostenendola in un processo di auto-normatività, in modo da divenire se stessa nel basilare rapporto col suo mondo. Ciò le ha permesso nel tempo di acquisire sicurezza, riprendere fiato e formarsi nella personale singolarità e nel rispetto del proprio tempo.
La relazione non è solo un modo di stare nell’esistenza, ma è una struttura originaria dell’uomo, modella coloro che sono legati al suo interno ed è veicolo di educazione, è passaggio di apprendimenti e di acquisizioni [9].
L’auto-narrazione, l’ascolto di sé, l’incontro con se stessi, è un cammino arduo, meravigliosamente arduo. È un progetto che si sceglie di disegnare pur consapevoli che le revisioni saranno costanti, le modifiche saranno periodicamente soggette ad ogni singola parola o non parola “detta”.
Per imparare a sentir-si è necessario saper ricordare e saper andare indietro nel tempo, rammentare, memorizzare, rammemorare. E’ un percorso a ritroso nel nostro tempo interiore e narrativo [10].
La cura, come il labirinto di Teseo, per utilizzare una metafora che mi pare calzante, è qualcosa di molto complesso: apre al rischio di perdersi, impone un percorso di ricerca, prevede un cammino per niente determinato, pieno di svolte e inversioni di marcia, ma anche di angoscia che si trova ad essere insita nell’ambiguità e scivolosità dell’esistenza umana.
- Conlusioni
In questo percorso, attraverso queste riflessioni, comprendiamo che la relazione di cura si fonda in una visione ontologica relazionale delle persone e la relazione interpersonale, è comunque anche intrapersonale, dove l’incontro tra il sé e il se medesimo orienta e modella la dimensione della cura.
Appare necessario fare cultura del pensare, del sentire e dello stare bene insieme. Creare una cultura del sentire è già un’azione specifica di cura verso la società, perché sappiamo tutti quanti, quanto i sentimenti che ci facilitano per vivere meglio, sono l’accettazione, la tenerezza, la speranza, sentimenti che hanno necessità dello sguardo e del gesto altrui. Verità che riscontriamo fina dalla più tenera età, dove il bambino che ancora non si esprime con il verbale, si cura del gesto materno.
È sempre più forte la necessità di legami educativi espressi attraverso i differenti linguaggi e non solo attraverso la parola. La cura permette di dedicare spazio, tempo, agito, a dettagli che troppo spesso vengono tralasciati, ci permette di rendere migliore il mondo nel quale viviamo, creando opportunità per ambienti attenti ai bisogni vitali e formativi, i quali a loro volta generano spazi dove sia possibile perseguire benessere e educarsi agli affetti e alle emozioni.
Ascoltarsi, sentirsi, in ciò che pensiamo e altresì pensare ciò che sentiamo, ci permette di dare una voce alle emozioni, generare comunicazione e quindi essere anche in grado di conquistare una maggiore padronanza del proprio essere, sia negli aspetti emotivamente positivi, ma anche nella gestione dei propri conflitti interiori. È nell’isolamento che la negatività trova spazio.
Occorre imparare ad ascoltare, non più solo udire; occorre prestare attenzione ai dettagli, alle tipologie di comunicazione, ai volti, agli sguardi, alle posture…è necessario osservare con attenzione per poter cogliere le emozioni altrui, sospendendo i nostri pensieri così da poter disporci verso l’altro nell’epoché[11].
Il rispetto dell’altro è un aspetto fondamentale, il quale nella cura educativa non si può assolutamente tralasciare, perché l’altro porta con sé una sua intimità che non può assolutamente essere violata. Chi aiuta, non può giudicare, ma solo agire in modo educativo.
[1] Boffo V., “Relazioni educative: tra comunicazione e cura. Autori e testi”, Apogeo, 2016, Ravenna. p. VII
[2] Ibidem.
[3] Buber M. “L’Io e il Tu”, Pavia, Italia, Bonomi
[4] Bowlby, J. (2000). Attaccamento e perdita vol. 1 – L’Attaccamento alla madre. Torino, Italia: Bollati Boringhieri.
[5] Boffo V., “Relazioni educative: tra comunicazione e cura. Autori e testi”, Apogeo, 2016, Ravenna p. 102
[6] Anche i media hanno un ruolo e influiscono in maniera determinante sui modelli di comportamento, plasmando le dinamiche comunicative stesse.
[7] Boffo V. Cura di sé e formazione degli educatori
[8] Mortari, L. (2005). Aver cura della vita della mente. Roma, Italia: Carocci.
[9] Boffo, V. (2011). Relazioni educative: tra comunicazione e cura. Ravenna, Italia: Apogeo Education.
[10] Boffo V. Cura di sé e formazione degli educatori
[11]contributori di Wikipedia. (2020, January 31). Sospensione del giudizio.
Retrieved from https://it.wikipedia.org/wiki/Sospensione_del_giudizio: “La sospensione del giudizio o epoché (traslitterazione del greco antico “ἐποχή” ossia “sospensione”) è l’astensione da un determinato giudizio o valutazione, qualora non risultino disponibili sufficienti elementi per formulare il giudizio stesso.”